Pizzoli, Manni: «La chiusura anticipata dei campionati è atto doloroso ma inevitabile.»

28 marzo 2020 AUTORE: Michele Manni
Logo Veni Basket San Pietro in Casale

Michele Manni, a poco più di un mese dall’ultima partita giocata dalla Pizzoli è giunta la notizia della conclusione anticipata dei campionati. Quali sono le tue considerazioni, a riguardo?

«Il Presidente della FIP ha deciso di concludere anticipatamente tutti i campionati e le attività gestite dai Comitati Regionali. Un atto doloroso ma inevitabile, poiché dettato dal buonsenso e dall’effettiva impossibilità di ripresa dell’attività nel breve periodo, dati il diverso livello di emergenza legato alla situazione rispetto ad altre categorie e le problematiche legate all’utilizzo delle palestre scolastiche. Comprensibile, infatti, che ai piani superiori si stia temporeggiando in attesa dello sviluppo degli eventi, per cercare di minimizzare il danno economico per tutti i club e tesserati. In A, in particolare, si stimano danni per almeno 40 milioni di Euro, in caso di conclusione anticipata della stagione. La Coppa Italia di A2 e B è stata prima annullata e poi rinviata a settembre, il prossimo passo dovrebbero essere la neutralizzazione della serie B, data la richiesta avanzata alla Lega Nazionale Pallacanestro da 46 dei 63 club partecipanti di dichiarare terminato al 30 marzo il campionato, e le parti sono già al lavoro per individuare una serie di azioni a tutela dell’equilibrio economico dei club e per trovare un punto d’accordo sulla retribuzione dei tesserati nel periodo di inattività.».

Quali saranno, dunque, le conseguenze sulla stagione sportiva 2019/2020 e su quella seguente?

«Che piaccia o no, la conseguenza dovrebbe essere il blocco di promozioni e retrocessioni: i diritti sportivi garantiranno l’accesso al campionato di pertinenza mentre chi vorrà salire o scendere di categoria potrà farlo secondo criteri da definire e disponibilità. Dispiace perché ciò sminuirebbe i sacrifici e gli sforzi sostenuti da agosto in poi, eravamo riusciti a lasciarci alle spalle un periodo caratterizzato da infortuni e problemi di varia natura che ci avevano peraltro portato ad affrontare le prime sei della classe in altrettante settimane facendoci scivolare dalla zona play-off a quella play-out, ed eravamo fortemente motivati nel cercare di eguagliare le sette vittorie ottenute nel girone di andata e vincere quelle tre o quattro partite che ci sarebbero servite per blindare la permanenza in categoria e centrare il nostro obiettivo principale, ma questo non è più possibile e ce ne faremo una ragione. D’altra parte, il paradosso principale di questa situazione è che la stagione di una Scandiano imbattuta sul campo nell’arco dell’intera stagione, rischia di essere equiparata a quella di una Cavriago il cui ultimo e unico successo risale alla prima giornata. A prescindere sono preoccupato per il proseguimento dell’attività di parecchie società e ritengo che, prima di ripartire, si debba necessariamente passare dalla definizione di un modello capace di garantire la sopravvivenza e lo sviluppo dell’intero movimento.».

Detto delle conseguenze in ambito sportivo, qual è il tuo punto di vista sulla situazione che stiamo vivendo?

«Il recente rinvio al 2021 delle Olimpiadi di Tokyo certifica, qualora ce ne fosse bisogno, il carattere mondiale di un’emergenza sanitaria che alla data di interruzione del campionato era ancora in stato embrionale e limitata a un’area geografica specifica. Il numero dei contagiati, dei morti e dei paesi coinvolti è in continuo aggiornamento e i sempre più stringenti vincoli imposti dal governo sono la cartina di tornasole di una situazione grave e al momento lontana dalla risoluzione. Dietro a questi numeri si celano i drammi di una moltitudine di comunità, famiglie e persone alle prese con dei lutti e in costante lotta per la sopravvivenza. Sfortunatamente, siamo testimoni oculari di un periodo storico inedito e di fronte al quale è fisiologico sentirsi disarmati nell’affrontare un presente contraddistinto da ansie e limiti che ci costringono a fare due metri per percorrerne uno, e preoccupati nel pianificare un futuro avaro di certezze e ricco di incognite, anche al netto della complessa ripresa dell’attività economica di un paese che non sarà più quello di prima. Ciascuno di noi è chiamato ad agire con attenzione e responsabilità straordinarie, perché i tempi necessari per il ritorno a una normalità mai tanto apprezzata e desiderata dipendono anche e soprattutto dai nostri comportamenti individuali, nell’interesse nostro e di quello dell’intera collettività. Sono convinto che ne verremo a capo e che ne usciremo più forti, se sapremo fare tesoro di questa ennesima lezione di vita, ma inevitabilmente provati, da un’esperienza che fino a poco tempo sarebbe stata impossibile anche solo da immaginare e che cambierà per sempre le nostre abitudini e i nostri comportamenti.».

Al di là dell’emergenza in senso stretto, quale è il tuo bilancio di questa tua prima stagione in bianco/nero?

«Al netto di questioni che esulano dal contesto prettamente sportivo, il bilancio di questa mia prima stagione a San Pietro in Casale è certamente positivo. Ho trovato disponibilità da parte di tutte le componenti e un’umanità che mi ha riportato alle origini e fatto riscoprire il piacere di recarmi in palestra. Al di là del progetto ho apprezzato l’attenzione, la coerenza e la sensibilità manifestate nell’arco dell’intera stagione ma, in particolare, nei momenti chiave della stessa. Un altro aspetto positivo è la creazione di un gruppo per la gestione della comunicazione, che ci ha consentito di dare visibilità all’attività di tutta la famiglia e in prospettiva ci permetterà di alzare l’asticella ulteriormente. A livello agonistico, la sfida non era affatto scontata: la squadra veniva da una stagione perdente ma da una salvezza conquistata in maniera quasi insperata. La scelta di dare fiducia ai prodotti del settore giovanile locale affiancandogli pochi e mirati innesti era intrigante ma non era garanzia di successo. Il campo, che non mente mai, ha parlato per noi e ci ha dato ragione. La crescita del gruppo guidato da Gabriele Castriota è infatti palese e testimoniata da elementi inconfutabili: sin dalla prima giornata abbiamo dimostrato di potercela giocare con chiunque, comprese squadre più ambiziose, attrezzate ed esperte. A dicembre avevamo già ottenuto lo stesso numero di vittorie raccolte nella precedente stagione regolare e al momento della sospensione eravamo decimi in classifica. Abbiamo ottenuto diciotto punti e vinto cinque partite in trasferta, un bottino inferiore soltanto a quello racimolato da Scandiano, Vignola e Basket Reggio. Rispetto alla media della passata stagione il nostro attacco ha prodotto due punti in più, nonostante la partenza di quelli che erano risultati i due giocatori più prolifici, mentre la difesa ne ha concessi quattro in meno. Ci è mancata soltanto la possibilità di festeggiare sul campo per dare ulteriore valore al lavoro svolto nei mesi precedenti, ma questo non toglie che ogni singola soddisfazione sia stata guadagnata e meritata tramite il lavoro e la voglia di migliorare che quotidianamente ha caratterizzato l’attività di questa squadra.».

Alla luce di tutto questo da dove si ripartirà, dunque, quando si ripartirà?

«La situazione è complessa ed è in continua evoluzione, districarsi in questo labirinto e pianificare l’attività in questo particolare momento storico è impossibile. Allo stato attuale delle cose le priorità sono altre e la speranza è che si ricominci a parlare di pallacanestro al più presto, perché significherebbe che l’emergenza è rientrata. Abbiamo un disperato bisogno di esempi positivi per ripartire e sono convinto che la Veni, società tra le più longeve a livello regionale e che ha fatto del legame con quella San Pietro in Casale di cui è patrimonio una delle sue prerogative, sia una delle tante frecce nell’arco di un territorio che ha bisogno e voglia di ripartire dalle realtà virtuose quale la Veni è, essendo veicolo di integrazione e socializzazione nonché svolgendo una funzione sociale in quanto ambasciatrice di uno sport che, come disse un certo Nelson Mandela, “ha il potere di cambiare il mondo, di ispirare, di unire le persone in un modo che poche altre cose fanno, parla ai giovani in una lingua che comprendono e può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione”.».